Teatro Goldoni - 28 Gennaio 2017

 

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Mario Cardinali

Il babbo de “Il Vernacoliere” in
Noi Livornesi, una razzaccia a modo nostro
Chi siamo, come siamo, perché siamo così:
Tutto quello che avreste voluto sapere di livornesi
e i pisani non ve l’hanno mai detto

 «Nel mio annoso girare per l’Italia a parlare del Vernacoliere – dice Mario Cardinali – in feste popolari e in spettacoli teatrali, in licei e università, in centri sociali e in club Lions e rotariani, in occasioni radiofoniche e televisive regionali e nazionali, ho sempre e dovunque incontrato tanta curiosità sui livornesi, tanta voglia di sapere qualcosa della loro storia, qualche spiegazione della loro caratteristica diversità dagli altri toscani, da tutti ben avvertita ma ignorata nelle sue motivazioni. Tutte cose che d’altronde neppure tanti livornesi conoscono, che nessuno ha mai veramente spiegato loro, né nelle scuole – tranne rari recenti casi – né in altri luoghi e iniziative di quanti in teoria sarebbero preposti a darsi da fare anche per una cultura popolare, intesa come coscienza di sé nel tessuto storico che ci ha generati».

E’ partendo da questa preliminare constatazione che lo storico direttore del Vernacoliere torna a mettere in scena, stavolta al Teatro Goldoni, “Noi livornesi, una razzaccia a modo nostro. Chi siamo, come siamo, perché siamo così”, ovvero “Tutto quello che avreste voluto sapere su Livorno e i pisani non ve l’hanno mai detto”, un originale one man show fatto di storia, storielle, satira, umorismo, letteratura, poesia, proverbi feroci e tante risate, come già fu rappresentato nel 2006 in uno dei memorabili spettacoli dei 25 giorni della Festa del Vernacoliere, con un “tutto esaurito” che vide oltre mille livornesi, ed anche tanta gente venuta da fuori, stipati in Fortezza Vecchia a sentir parlare di livornesità come nessuno gli aveva parlato mai.

E si comincia così – in una edizione arricchita e aggiornata – con un tragicomico prologo sui pisani  («impensabile parlare di Livorno – precisa Cardinali – senza la nostra cartina di tornasole, i pisani appunto, del resto tanto presenti nella nostra storia, oltre che nel nostro campanilismo») per proseguire con l’autoironia sul modo in cui i livornesi si sentono al centro del mondo, e poi sul loro essere anche un popolo di poeti (e ci sono stornelli ottocenteschi e versi di Caproni), in una comunità di donne matriarche e di ragazze speciali, dalle filandrine “scandalose” della prima industrializzazione e dalle sartine fino alle ragazze e ragazzine d’oggi col loro linguaggio senza pudori, «in un mix di sacro e di profano com’è nella composita realtà labronica, di mente e di pancia, di spirito e di materia, di carezze e di picchi nel muso».

E si parla pure – sempre fra la realtà e la commedia – dei livornesi come popolo di pittori e di musicisti, come popolo di ribelli e di resistenti (e si va dai Villani vittoriosi sulla lega dell’imperatore Massimiliano nel 1496 ai rivoltosi risorgimentali del maggio 1849, dagli Arditi del popolo dell’antifascismo del ’21 alla sommossa popolare contro la Celere di Tambroni nel ’60). E c’è poi il mare con i suoi traffici e con i suoi pirati, con i livornesi «popolo di marinai anzi di marittimi anzi di bagnanti», ci sono le storie di risiatori e ci sono infine i figli di puttana, come tanti fra gli altri toscani definiscono i labronici…

E qui Cardinali comincia un singolare viaggio a ritroso nel tempo, a spiegare quel “figli di puttana” col ritrovare la vera storia di Livorno – dei livornesi come sono oggi – dai tempi della Contessa Matilde in poi, attraverso le varie dominazioni pisane, milanesi, francesi, genovesi e infine fiorentine (i Medici e i Lorena, la Livornina e il crogiolo di etnie che ha generato una “livornesità” tanto diversa dalla toscanità altrui), e poi il dominio napoleonico e il Risorgimento e l’annessione al regno d’Italia e la decadenza economico-commerciale con la fine del porto franco, «il tutto – sottolinea Cardinali – nel quadro della precarietà esistenziale delle origini fino ad arrivare alla precarietà odierna, col ricordo anche dei tempi dello sfollamento e di quando si tornava a Livorno dalla guerra, di quando s’andava in 500 e di quando la sera si correva davanti alla prima televisione al bar.

E tante altre cose ancora, su Livorno e sui livornesi, in una scorribanda storico-satirico-umoristica che chiama anche Malaparte a celebrare la vitale lingua labronica, un linguaggio tanto caratteristicamente recuperato e propalato dal Vernacoliere anche in chiave antiautoritaria, e citato in alcuni dei suoi titoli più significativi.

«Fino a chiudere – conclude Cardinali – con un fuoco d’artificio dei famigerati proverbi gastro-ano-genitali della “civiltà” livornese, vera e propria filosofia parlata, una terminologia dissacrante che riassume i valori dell’essenzialità popolare, una ferocia espressiva che è realismo di sesso e di cibo, di materia fecale e di spiriti d’amore. Che è livornesità, senza se e senza ma».

 

Breve biografia di MARIO CARDINALI

Livorno 1937. Liceo Classico, laurea in Scienze Politiche. Giornalista dal 1966, editore (Mario Cardinali Editore srl), scrittore (sette libri, di cui due editi da Ponte alle Grazie e due da Piemme), conferenziere, opinionista, uomo di spettacolo.
È da sempre direttore-editore del mensile Il Vernacoliere, prosecuzione satirica dal 1982 del settimanale di controinformazione Livornocronaca che ha fondato nel 1961, sempre dirigendolo ed editandolo. Suoi sono tra l’altro i titoli delle celebri locandine del Vernacoliere, divenute un genere giornalistico-satirico di ampia e dibattuta notorietà, con tentativi d’imitazione fioriti un po’ dovunque.
Ha più volte tenuto lezioni e conversazioni in tutte le Università toscane, Scuola Superiore S. Anna di Pisa compresa, alla Luiss di Roma e nel 2000 è stato relatore al Convegno internazionale “Le minoranze come oggetto di satira” promosso dalla Ca’ Foscari di Venezia. Di lui hanno scritto molti giornali e periodici nazionali e lo hanno ospitato numerose reti televisive e radiofoniche sui temi più vari, dal costume alla politica, dalla linguistica al folclore, oltre che sulla storia del Vernacoliere in particolare.
Nel 2015 ha ricevuto “la Canaviglia”, una delle due massime onorificenze del Comune di Livorno, e nel 2016 gli è stato conferito “il Gonfalone d’argento”, massima onorificenza della Giunta regionale toscana.
Non ha mai avuto tessere di partito né credenziali di alcun tipo, non ama e non frequenta i Palazzi, non crede negli dei, si definisce uomo di sinistra (non quella dei partiti) antiautoritario e anticlericale, giudica il rispetto di se stesso il suo bene fondamentale, ha uno scilinguagnolo micidiale.
E menomale che gli piace anche prendersi parecchio per il culo, sennò ‘un ci si faceva vita.

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