8° Regina Alessandra

 

IL CAMPIONE DEL REGNO
Lorenzo Occhetto Laboratorio Giovani
Sono Lorenzo Occhetto, e questo è il mio lavoro per il tema “Storie aliene, viaggi nel tempo e cronache dal futuro”.

Diciamo che, al posto di spaziare nelle infinite possibilità del cosmo e dello spazio-tempo, ho preferito concentrarmi su una storia molto più personale, investigando su quanto effettivamente, in una possibile futura guerra planetaria, potremmo definirci diversi dagli altri che combattono.

Era così diverso(?)
Pioveva. Non era la sua pioggia, ovviamente. Ma pioveva. Gli pareva che fosse ormai la terza volta dall’inizio di quella giornata. “La gloriosa allegria del fronte” pensò tra sé e sé, in parte per tenersi concentrato in parte per poter cercare di racimolare un minimo di buon umore. Riuscì solo in parte. Erano ormai trascorsi molti giorni dall’inizio della guerra. Quasi un migliaio. Non li aveva contati, naturalmente, visto il diverso scorrere del tempo che avveniva su quel pianeta lontano dal suo, era un’informazione che veniva data al fronte, così, tanto per farti sentire ancora peggio quantificando esattamente quanto tempo avevi passato lontano da chi amavi e ti amava. Quasi un migliaio di giorni. Ma si respirava la stessa esatta aria dai primi scontri. Con la mente ripensò a come era iniziata. Gli scienziati del suo mondo si erano superati con le innovazioni, ed erano riusciti a creare i primi motori a curvatura luce. Finalmente tutti i sogni potevano avverarsi: andare oltre la galassia, scoprire altri pianeti… incontrare nuove specie. E ci erano riusciti. Solo che non era andata come si aspettavano. Si erano avvicinati alla loro atmosfera, ed avevano aperto il portellone della nave, pronti a presentarsi agli abitanti. E quelli subito avevano fatto fuoco, non avevano neanche provato a conversare, o a cercare una via pacifica. Avevano sparato subito, con le loro armi così diverse dalle loro. Ed era subito stata guerra. I grandi capi di stato si erano riuniti, ed avevano proclamato lo stato di “Guerra spaziale”, il primo del suo genere. “Facile parlare per loro” continuò seguendo il filo dei suoi pensieri. Alla fine non c’erano loro a combattere, a seguire le strategie dei generali. A conquistare altri pianeti disabitati, da usarli come avamposti, ed a tenerli quegli avamposti. Palmo a palmo, a ricoprire il terreno con il sangue. Il loro sangue. Dei rumori lo smossero dai suoi pensieri. Strinse la sua arma, e si schiacciò ancora di più contro il masso che aveva scelto come nascondiglio. Era il loro modo di parlare. Gli metteva i brividi. Così diversi da loro, i suoni che mettevano. Così inquietanti, e bassi, e lenti. Non provò neanche a controllare dove fossero. Sapeva che non sarebbe riuscito ad individuarli soltanto ascoltando. Cominciò a tremare. In maniera impercettibile, certo, ma tremò. Di paura. Lui non voleva trovarsi lì. Soprattutto non da solo. Tornò con la mente ai ricordi con i suoi compagni, i suoi amici, prima che si separassero. Il suo migliore amico, che si stringeva a lui promettendogli che si sarebbero rivisti. Ripensò a lei. Lei. La sua guida, il suo sogno più bello. La sua compagna. O almeno una delle tante. Ma per quanto si ripetesse di non dover fare differenze, sapeva nel profondo che lei era la sua preferita. Quella a cui pensava quando poteva concedersi il lusso di considerarsi al sicuro. “Non è così che morirò, lo farò con lei” pensò. E quel pensiero le fece forza. Sentì muoversi vicino a dove era nascosto. Erano passi. Così strani anche loro. Prese coraggio, ed uscì. Vide il suo nemico, era da solo per fortuna. Impugnò l’arma e fece fuoco. Lo centrò in pieno. Quello si accasciò ed emise il “suono”. Ne aveva sentito parlare al fronte. Rabbrividì. Alcuni ci si erano abituati, ma lui no. Non ce la faceva ad abituarsi al suono che emettevano quando morivano. Non che riuscisse ad abituarsi al loro aspetto, effettivamente. Erano troppo schifosi. Con quella pelle bianca, quella specie di peluria sulla testa, che alcuni soldati dicevano avessero anche su altre parti del corpo, quegli occhi che si chiudevano in verticale, e che erano due, come gli arti superiori. “Che schifo” pensò con disgusto. Cercò di ricordare come si chiamassero ufficialmente. Qualcosa con la T. Terreni, forse? No, no, non era giusta. Ter… Terre… Terrestri! Ecco come si chiamavano: Terrestri.

 

Leonardo Corti Laboratorio Giovani Adulti
Lettura di Cicada di Shaun Tan uno storia su una cicala aliena al mondo degli uomini.

 

Francesco Poggiali Laboratorio Giovani Adulti
“Ufo”

 

Francesco Orsini Coro Voci Bianche
La lotta tra il bene e il male

 

Samuele Bartolini; Marta Rizzo; Ambra Passetti; Rinaldo Merelli; Mattia Lombardi; Ilaria Moriconi; Andrea Pazzaglia; Zoe Notartommaso; Francesca Vigneri; Virginia di Lazzaro; Valentina Donzella; Matteo Morsellino; Rebecca Lucchesi e Leonardo Corti, Francesco Pini Laboratorio Giovani Adulti
Amuchina Commedia

 

Riccardo Massucco Laboratorio Giovani Adulti

 

Giorgio Leoni Laboratorio Musical
https://www.instagram.com/p/B01mYTxos0e/

 

Mattia Lombardi Laboratorio Giovani Adulti
LA STORIA DI M

Il piccolo M stava giocando con la palla nel parco. Sua madre era poco lontana e ogni tanto lanciava delle occhiate al bambino per assicurarsi che andasse tutto bene.

Ad un certo punto il piccolo M si spostò con il suo gioco dalla parte opposta del grande prato, e lì si accorse che qualcuno lo stava fissando.
Ma chi era? Forse un amico di mamma, o un parente visto molto tempo fa ma di cui non si ricordava… Le ipotesi che si accumulavano nella mente del piccolo M erano tante, tuttavia restava nella sua vivacità di bambino non dando importanza alla situazione.

Lo sconosciuto era un ragazzo con capelli abbastanza lunghi, marroni e mossi, e aveva una barba rada (da quella si poteva percepire la sua giovane età). Indossava un parka verde scuro, e verdi erano anche la sua maglietta (molto leggera per la stagione in cui si trovavano) ed i suoi pantaloni. Ai piedi aveva un paio di stivali neri, che quasi stonavano con il resto del vestiario. Se ne stava seduto su una panchina, al sole, in un’area non troppo affollata del parco, e sembrava che il suo unico obiettivo fosse quello di fissare il piccolo M.

Per quanto strano o allarmante potesse essere il suo comportamento, lo sconosciuto passava totalmente inosservato: non c’era adulto che lo notasse o bambino che lo guardasse, sembrava come se la panchina dove sedeva fosse invisibile agli occhi di tutti, tranne quelli del piccolo M, che continuava a giocare nella consapevolezza di essere guardato ma senza percepire alcun pericolo.

Poco dopo ci fu un momento in cui gli sguardi del piccolo M e dello sconosciuto si incontrarono, e si fusero in un unico ed intenso contatto visivo. Sembrava che l’uno potesse scrutare l’anima dell’altro attraverso gli occhi. E stavano lì, imperturbabili, come se fossero sospesi in un tempo indefinito, in quello sguardo che sembrava durare un’eternità. Ma dopo pochi secondi, i due sguardi si separarono, lo sconosciuto si alzò dalla panchina e se ne andò. Con una pesante confusione, molto inusuale per un bimbo, il piccolo M torno a giocare.

Più tardi, il bambino colpì la palla troppo forte, facendola finire in un angolo remoto del parco. Arrivato al punto in cui giaceva la palla, si trovò davanti lo sconosciuto. Il piccolo M sentì dentro di sé un brivido che lo impietrì. Per la prima volta in quel giorno ebbe paura.
Lo sconosciuto si avvicinò, si chinò verso il bambino, e lo guardò con tenerezza, quasi come se fosse suo figlio.
– Andrà meglio, vedrai. Devi soltanto aspettare. Ma per ora sii felice.
Soltanto queste poche parole, poi si alzò porgendogli la palla. Il piccolo M era scosso, stava impercettibilmente tremando, però adesso aveva dentro una calma serena, come se quel peso che aveva all’inizio fosse diventato una piuma che galleggiava dentro la sua pancia.

Il piccolo M prese la palla, e si avviò a passo svelto dalla mamma, la quale lo aspettava per tornare a casa.

Guardandolo andare via, il grande M accennò un sorriso. Poi estrasse un telecomando dal cappotto, premette un pulsante, e sparì.

 

Ambra Passetti Laboratorio Giovani Adulti
Un giorno andai in soffitta trovai uno scatolone a forma di macchina. Dato che avevo molta noia decisi di prenderla e portarla in camera per vedere se riuscivo a utilizzare quel cartone per le mie piccole attività artigiane.
Lo portai in camera e lo ripulii per bene dalla polvere. Appena finito decisi di entrare dentro e far finta di essere in una macchina vera, un po’ come si fa quando si è piccoli.
Appena montato sulla macchina, credo per magia, la macchina partì veramente e in un nano secondo mi ritrovai in un pianeta strano tutto colorato: solo natura senza case, negozi, grattaceli… solo tanta natura super colorata. Decisi di fammi coraggio e scendere dalla macchina; appena messo il piede su questo pianeta una strana creatura: una enorme testa attaccata a un piccolo corpo. Si avvicina a me e:
Tu sei una creatura strana sai?!
Senza pensarci un attimo risposi:
Io? Te hai la testa attaccata al corpo e un corpo minuscolo! La creatura strana sei te!
La creatura si irritò molto ma non diede troppo spago alle mie parole infatti continuò il suo discorso senza problemi:
Sei venuto qui per salvare il pianeta? , sei il prescelto lo sento!
Non capendo chiesi:
Il prescelto? Salvare il pianeta? Io? Ma sono un semplice ragazzo cosa dovrei fare?!
Trovare la pozione magica che risiede nel monte Akan e riportarla qui al nostro capo; in modo che il virus che sta crescendo nei nostri villaggi non devasti ogni cosa del nostro piane. Disse la creatura
Ma te sei pazzo/a !? non so di che genere tu sia comunque io non vado alla ricerca di questa montagna in questo strano pianeta per salvare voi. Ho già i miei problemi nel mio mondo non ho assolutamente voglia di farli aumentare!

Appena finito di parlare ritornai verso la macchina ma era scomparsa nel nulla. E dopo una valanga di pensieri decisi di andare alla ricerca di questa pozione e di salvare questo pianeta.
Dopo diversi giorni di viaggio trovai la pozione e la portai al capo di questo popolo. Ci fu una festa di ringraziamento; a fine festa ritornai alla macchina vidi che era lì; ritornai a casa e senza indugi mi misi a risolvere i miei problemi.

 

Rafael Gamboa Luna Teatro Bambino 1
Gli alieni ritornano al loro pianeta

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