Teatro Goldoni - 04 Novembre 2025
Orario/i: 21
Martedì 4 novembre 2025, ore 21
Teatro Stabile dell’Umbria e LAC – Lugano Arte e Cultura
Vinicio Marchioni
RICCARDO III
di William Shakespeare
traduzione Federico Bellini
adattamento Antonio Latella e Federico Bellini
regia Antonio Latella
con Silvia Ajelli, Anna Coppola, Flavio Capuzzo Dolcetta, Sebastian Luque Herrera, Luca Ingravalle, Giulia Mazzarino, Candida Nieri, Stefano Patti, Annibale Pavone, Andrea Sorrentino
drammaturgia Linda Dalisi
scene Annelisa Zaccheria
costumi Simona D’amico
musiche e suono Franco Visioli, luci Simone De Angelis,
regista assistente e movimenti Alessio Maria Romano
PdS RICCARDO III – Man RICCARDO III
La Stagione di Prosa del Teatro Goldoni si apre con RICCARDO III di William Shakespeare
La nuova Stagione di Prosa del Teatro Goldoni di Livorno si inaugura con un grande classico: martedì 4 novembre, alle ore 21, andrà in scena RICCARDO III di William Shakespeare, per la regia di Antonio Latella, con Vinicio Marchioni nel ruolo del protagonista. La produzione è firmata dal Teatro Stabile dell’Umbria, che apre così il nuovo cartellone livornese con una rilettura potente e visionaria di uno dei titoli più affascinanti e oscuri del repertorio shakespeariano che esplora il male come seduzione e bellezza.
Accanto al personaggio principale interpretato da Marchioni, il regista ha voluto costruire un cast corale e attentamente calibrato composto da un gruppo di attori di grande rilievo: Silvia Ajelli, Anna Coppola, Flavio Capuzzo Dolcetta, Sebastian Luque Herrera, Luca Ingravalle, Giulia Mazzarino, Candida Nieri, Stefano Patti, Annibale Pavone e Andrea Sorrentino capace di restituire “la forza performativa della parola del Bardo” in uno spettacolo che promette di coniugare potenza visiva, intensità attoriale e riflessione etica.
La traduzione è di Federico Bellini, che firma l’adattamento insieme allo stesso Latella. La drammaturgia è affidata a Linda Dalisi, le scene ad Annelisa Zaccheria, i costumi a Simona D’Amico, le musiche e il suono a Franco Visioli, le luci a Simone De Angelis.
«Più che interpretare Riccardo III – ha raccontato Marchioni – mi sono fatto attraversare da questo personaggio e sono profondamente grato ad Antonio Latella per il dono di questo ruolo.»
Antonio Latella, uno dei registi italiani più acclamati a livello europeo, torna a confrontarsi con Shakespeare mettendo in scena una delle sue opere più celebri: un grande affresco sulle manifestazioni del male. Il regista immagina un Riccardo III ambientato in un “parco-giardino ideale”, un luogo d’incanto dove la bellezza diventa terreno di conflitto e di seduzione. “Il male – spiega Latella nelle sue note di regia – non è una forma, non è uno zoppo, non è un gobbo. Il male è vita, è natura, è divinità. Il nostro intento è provare ad andare oltre l’esteriorità del male, cercando di percepirne l’incanto”. Il regista riflette anche sul significato contemporaneo dell’opera e sul rapporto tra deformità fisica e rappresentazione del male. “Nel XXI secolo – osserva – è ancora accettabile questo alibi di deformità? A noi interessa la forza della parola, la seduzione della parola, e, perché no, la scorrettezza della parola”. La sua lettura restituisce a Riccardo III una dimensione ambigua e sensuale: il male non è più mostruoso, ma affascinante, “una bellezza opulenta e ingannatrice, fatta di relazioni pericolose e di giochi di seduzione continui. In questo, Riccardo III è il maggiore dei maestri”. Il risultato è un adattamento che mantiene intatta la complessità del testo shakespeariano, pur restituendolo con una visione scenica contemporanea, densa di simboli e riflessioni sul potere, la parola e la natura umana.
(csfb)
Biglietti: da € 15 a € 35 in vendita alla biglietteria del Teatro Goldoni (tel. 0586 204290) aperta martedì e giovedì con orario 10-13; mercoledì, venerdì e sabato ore 16.30-19.30 oppure su goldoniteatro.it
Il male è. Non è una forma, non è uno zoppo. Non è un gobbo. Il male è vita. Il male è natura. Il male è divinità. Il nostro intento è quello di provare ad andare oltre l’esteriorità del male cercando di percepirne l’incanto. È chiaro che se il male stesso viene rappresentato attraverso un segno fisico il pubblico è portato ad accettarlo, vede la “mostruosità” e la giustifica. Anzi, prova empatia se non simpatia con e per il protagonista. Ma è ancora accettabile questo “alibi di deformità” nel ventunesimo secolo? Probabilmente il Bardo ne aveva bisogno per giustificare al pubblico, in qualche modo, tutte le malefatte del protagonista. Difatti utilizzò un corpo maschera, molto più vicino a un giullare di corte, al fool, la cui figura era spesso caricata di segni esteriori – come la gobba – che, nel tempo, hanno assunto significati ambivalenti: grotteschi ma anche propiziatori. Non è un caso che nella cultura popolare si corresse a toccare la gobba per buon auspicio. In alcuni Paesi, Riccardo III viene tolto dai cartelloni di programmazione teatrale perché potrebbe risultare offensivo per chi convive con una disabilità fisica; argomento delicato in questi tempi dove il politically correct, nel bene e nel male, rischia di diventare censura che muta l’originalità delle opere decontestualizzandole dal periodo storico a cui appartengono. A noi interessa la forza della parola, la seduzione della parola, e, perché no, la scorrettezza della parola. Il serpente incantò Eva con le parole, o, in ogni caso, bisognerebbe pensare che il serpente fu abile in quanto riuscì a far staccare la mela dall’albero ad Eva ma fu Adamo a morderla. Quindi, chi dei due peccò? Il male che mi interessa è nella bellezza, non nella disarmonia. Il male è il giardino dell’Eden. Una bellezza accecante, una bellezza che pretende un ritorno al figurativo. Una bellezza opulenta e ingannatrice, fatta di relazioni pericolose, di giochi di seduzione continui. E, in questo, Riccardo III è il maggiore dei maestri. La sua battaglia non è per la corona, non è per l’ascesa al trono, ma è per la sottomissione del femminile, quando è proprio il femminile che gli darà scacco matto; difatti sarà la Regina madre a portare a termine una tremenda maledizione. La traduzione di Federico Bellini mi permette inizialmente di giocare con tempi e andamenti ritmici quasi da commedia, direi wildiana, in una pennellata che rimanda all’Inghilterra Vittoriana. Abbiamo cercato di creare un adattamento dove, pur nella rinuncia ad alcune parti del testo originale, abbiamo provato a rispettare l’interezza della vicenda e la sua trasversalità di significato. Ci siamo presi il lusso, studiando i personaggi del testo, di ampliarne uno già esistente, chiamandolo Custode, apparentemente un servitore del male e di Riccardo III, che, con l’andare della narrazione, si scoprirà essere in realtà al servizio della bellezza del luogo; un custode che vuole garantire la sopravvivenza del giardino dell’Eden e per questo è pronto a tutto, quel tutto che nel testo si sintetizza con la parola “AMEN”. Infine e non da ultima, la scelta degli attori: un cast importante, ponderato in modo maniacale, un cast che possa essere forte per talento e dare ad ogni personaggio letterario qualcosa di fortemente artistico, un cast che possa ammaliare gli spettatori mettendo al primo posto del loro lavoro il potere performativo della parola che il Bardo ci consegna e ci lascia in eredità. Sappiamo tutti che la parola può mettere a tacere ogni tipo di guerra, ma nonostante la storia ce lo ricordi continuamente, continuiamo a dimenticarlo e credo, con mio dolore, volutamente: forse perché siamo stati creati per essere stonatura all’interno della perfezione armonica della prima nota, il DO, o almeno così mi piace pensare. A tutti i miei collaboratori artistici ho chiesto di dare bellezza al male e non bruttezza, perché chi tradì il paradiso fu l’Angelo più bello.
Antonio Latella regista