Teatro Goldoni - 13 Dicembre 2016

 

Prosa

La pazza della porta accanto

di Claudio Fava
uno spettacolo di Alessandro Gassmann
con Anna Foglietta
e (in o.a.) Alessandra Costanzo, Angelo Tosto, Cecilia Di Giuli, Gaia Lo Vecchio, Giorgia Boscarino, Liborio Natali, Olga Rossi, Sabrina Knaflitz, Stefania Ugomari Di Blas
ideazione scenica Alessandro Gassmann
costumi Mariano Tufano
musiche originali Pivio & Aldo De Scalzi
disegno luci Marco Palmieri
videografie Marco Schiavoni
una produzione Teatro Stabile dell’Umbria, Teatro Stabile di Catania

“Si va in manicomio per imparare a morire” Alda Merini
Un commovente testo di Claudio Fava per raccontare l’appassionante storia d’amore tra Alda Merini donna complessa dal carattere malinconico e un giovane, paziente anche lui dell’ospedale psichiatrico in cui la donna era ricoverata. A dare voce e volto alla “poetessa dei navigli” e ai suoi emozionanti versi, Anna Foglietta che, affiancata da un folto e affiatato gruppo di attori, si cala con intensità nei panni della giovane in profondo conflitto con un mondo che non la comprende e di cui non accetta le etichettature. Con la sapiente regia di Alessandro Gassmann, un lavoro che saprà emozionare il pubblico.
Questa pièce – dichiara l’autore Claudio Fava –  non è il girone dei matti: è l’incontro imprevisto, irriproducibile, tra la follia e la poesia.
Alda Merini entrò per la prima volta in manicomio nel 1965, a trentaquattro anni. Lasciandosi alle spalle due figli, un marito e alcune raccolte di poesie che l’avevano già indicata come una delle voci più creative di quegli anni. In manicomio Alda resterà, a periodi alterni, per quasi vent’anni. Di quel tempo interminabile restano migliaia di versi, brevissimi, lucidi, sprezzanti, innamorati.
Resta la memoria livida di cosa fosse il destino dei matti nell’Italia dei manicomi: la chimica usata in dosi massicce per ottundere le menti, le iniezioni di leptozina e di doprel fino a farti perdere
definitivamente il senno, il rito settimanale dell’elettroschock, l’umanità pietosa di qualche medico, il cinismo inossidabile di tutti gli altri.“
A queste si può fare tutto che tanto sono matte” dice la caposala guardando la Merini. E tutto, tutto le verrà fatto, negato, tolto, inflitto. Finché anche lei, come gli altri, penserà che sia giusto così:
matta tra i matti: “Avevamo imparato a considerare tutto ciò che ci veniva dato come un dono del cielo, elettroschock compresi”.
Ma Alda non si rassegna. Sulle cose che accadono e che le accadono trattiene uno sguardo avido, curioso, impietoso. La sua forza è la poesia: o meglio, la congiunzione tra follia e poesia che in lei si fa carne, vita, parola, fuga. E che le procura, come un’ombra di adolescenza che ritorna, perfino il silenzioso innamoramento per un matto come lei, Pierre, un uomo semplice,
ignaro, puro. Finché un giorno aprono i cancelli del manicomio. E non ci sono più i matti. Alda e le altre si riversano fuori dalle mura del manicomio, libere finalmente di abbracciare la terra, di affondare la faccia in mezzo all’erba di un giardino, di riempirsi la bocca di quel sapore osceno e felice.

 

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