liberamente ispirato alla favola di Andersen “Il brutto anatroccolo” età 3-7 anni
in coproduzione con T.J.P – Centre Dramatique National – Strasburgo
testo Marina Allegri regia Maurizio Bercini con Elena Gaffuri, Piergiorgio Gallicani, Claudio Guain assistente alla regia Manuela Capece luci Christian Peuckert scene Maurizio Bercini e Serena De Gier costumi Marina Allegri e Patrizia Caggiati musiche Alessandro Nidi
In una terra di ghiaccio, una casa di legno nasconde al suo interno il cuore meccanico di un orologio a cucù che scandisce il tempo della storia con rintocchi precisi e dà vita e calore ai tre personaggi che vi abitano, un omino vecchio e magro il signor Hans e i suoi due aiutanti, il signor Tric e la signora Trac. L`omino trascorre il tempo scrivendo le storie che sono già nella sua testa come piccoli semi e germogliano con il sole, il vento, qualche goccia di pioggia. Il racconto si sviluppa in uno spazio dai colori e dall`atmosfera avvolgente di un acquarello di Carl Larsson, dove tutto è a vista, per terra e per aria. Per terra un tappeto annodato con i luoghi della storia; in cielo attrezzi rubati alla cultura contadina e la fioca illuminazione di lampadari a goccia. Il brutto anatroccolo resiste, sfida la forza della natura, fugge dagli incontri sbagliati, pensando, mentre il ghiaccio del laghetto gli gela il corpo, che dopo l`inverno viene la primavera. E alla fine vede ricompensata la sua caparbietà quando specchiandosi riconosce finalmente l`immagine esteriore che gli appartiene.
Lo spazio provoca un taglio vivo nel sentire. E` forte l`indecisione tra lo stagnare in un nido caldo, sicuro, senza spigoli, e la volontà di cominciare a camminare lungo il tappeto in movimento, che della vita rappresenta il momento difficile della crescita. In realtà, la scansione meccanica di tempo, movimento e parole strappa alla storia il tempo stesso, che sembra non passare mai, così ovattato in un continuo presente, senza un prima e un dopo.
“E` in questo sogno che ci accompagna fino alla fine, di essere accettati per quello che veramente siamo e non per quello che dovremmo essere, che troviamo molte affinità con il sentimento bambino, non “da bambini”, che ci spinge a diventare grandi rimanendo fedeli a una nostra idea di indisciplina.”