Teatro Goldoni - 26 Aprile 2024
Orario/i: 20

 

Lirica

TURANDOT

Venerdì 26 aprile, ore 20
Domenica 28 aprile, ore 16
TURANDOT
Opera musicale in tre atti e cinque quadri
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Musica di Giacomo Puccini
Direttore Pietro Mianiti
Regia Daniele Abbado

personaggi e interpreti:

Turandot Anastasia Boldyreva
Calaf Amadi Lagha
Liù Emanuela Sgarlata
Timur Abramo Rosalen
Ping Paolo Ingrasciotta
Pang Francesco Napoleoni
Pong Marco Miglietta
Altoum/Principe di Persia Rocco Sharkey
Mandarino Tomohiro Nomachi
Due Ancelle Alessia Battini, Sara Fogagnolo

Direttore Pietro Mianiti
Regia Daniele Abbado ripresa da Emanuele Gamba
Scene/Light designer Angelo Linzalata
Costumi Giovanna Buzzi
Coreografia Simona Bucci

Orchestra del Teatro Goldoni
Coro del Teatro Goldoni
Maestro del coro Maurizio Preziosi

Coro di voci bianche del Teatro Goldoni
Maestro del Coro voci bianche Laura Brioli

Nuovo allestimento
Coproduzione Fondazione Festival Pucciniano e Fondazione Teatro Goldoni

Turandot trama

Torna dopo quindici anni di assenza a Livorno Turandot di Giacomo Puccini, l’ultimo capolavoro del compositore lucchese in occasione del centenario della sua scomparsa (Bruxelles, 29 novembre 1924). Due le rappresentazioni in programma al Teatro Goldoni venerdì 26 aprile, alle ore 20 e domenica 28 aprile, alle ore 16 con un nuovo, straordinario allestimento frutto della coproduzione tra la Fondazione Teatro Goldoni e il Festival Puccini di Torre del Lago; l’occasione sarà anche quella preziosa di ascoltare per la prima volta assoluta nella nostra città il finale che Luciano Berio scrisse nel 2001, al posto di quello “tradizionale” di Franco Alfano.

Una produzione che porta la firma importante di Daniele Abbado, regista attivo dal 1988 per teatro, lirica e video nei principali teatri e festival italiani e internazionali, premiato nel 2012 con l’International Opera Award per il complesso della sua attività e che ha visto in Turandot un’opera di straordinaria modernità: “Questa realizzazione muove dalla considerazione di Turandot come opera che sta appieno nel percorso teatrale del novecento – scrisse per l’occasione – La favola musicata da Puccini ci spinge verso una narrazione non letterale né tantomeno realistica. Puccini non riuscì a completare Turandot. Anche con l’importante apporto di Luciano Berio, questo racconto scenico sembra non chiudersi su una fine, quanto piuttosto donare a Turandot il senso di un tentativo, un esperimento. Turandot come Opera Aperta, consegnata al destino di generare e ospitare finali di significato diverso”.

Dopo il felice ed applauditissimo debutto nelle edizioni 2021/2022/2023 del Festival Pucciniano, lo spettacolo viene ripreso a Livorno da Emanuele Gamba che ha con il regista milanese una ventennale frequentazione e collaborazione teatrale: “Conosco Daniele Abbado dal 1997 – afferma il direttore artistico della Fondazione Teatro Goldoni – e dopo tanti anni di amicizia e collaborazione, sono felicissimo ed orgoglioso di portare nella mia città una fra le sue più belle ed ispirate creazioni”. Sulla scena un impianto “contemporaneo” denso, simbolico e minimale, realizzato da Angelo Linzalata, che dialoga alla perfezione con i colorati ed ibridati costumi di Giovanna Buzzi.

Nuova la parte musicale rispetto alle recite a Torre del Lago, con l’Orchestra e Coro del Teatro Goldoni dirette da Pietro Mianiti, uno dei più affermati direttori d’orchestra italiani; Maestro di grande esperienza nel repertorio lirico e sinfonico, ha già diretto Turandot ed è stato applaudito nei principali teatri e sale da concerto in Italia ed all’estero alla guida di prestigiose orchestre. È fondatore dell’Italian Piano Quartet con il quale si è esibito al Festival dei Due Mondi di Spoleto, Lygon Arts Festival Melbourne, Carnegie Hall di New York, Kleine Musikhalle di Amburgo, Filarmonica di San Pietroburgo e alla Dixon Gallery di Memphis; nel 2008 inizia la sua collaborazione con l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano con una tournée negli Emirati Arabi, per divenirne negli anni direttore ospite e docente di esercitazioni orchestrali.

Identico il cast impegnato per le due recite che vedrà Anastasia Boldyreva vestire i panni della Principessa Turandot, Amadi Lagha quelli del Principe ignoto (Calaf), Emanuela Sgarlata come Liù, Abramo Rosalen in Timur, Paolo Ingrasciotta, Francesco Napoleoni e Marco Miglietta rispettivamente nei tre Ministri Ping, Pang e Pong, mentre l’Imperatore Altoum ed il Principe di Persia saranno interpretati da Rocco Sharkey; completano il cast Tomohiro Nomachi (un Mandarino) e Alessia Battini, Sara Fogagnolo (Due Ancelle). Maestro del Coro Maurizio Preziosi; Coro di voci bianche del Teatro Goldoni, Maestro del Coro voci bianche Laura Brioli.

Biglietti disponibili per entrambe le rappresentazioni presso il botteghino del Goldoni (tel. 0586 204290) aperto martedì e giovedì ore 10/13; mercoledì, venerdì e sabato ore 16.30/19.30; vendita online su goldoniteatro.it e ticketone.it; prezzi da € 20 ad € 43.

 

Turandot è un’opera ricchissima, densa di differenti fatti musicali e teatrali, di piani narrativi i più diversi. I linguaggi del tragico, eroico, grottesco, esotico, rituale, comico, convivono in momenti di alternanza, fusione, contrasto.   Evidentemente il contenuto di Turandot è strabordante, non sopporta un racconto lineare. In questo risiede gran parte della modernità di quest’opera: l’opera della frammentazione, frammentazione di stili, linguaggi, situazioni.  Si tratta probabilmente dell’opera più moderna di Puccini. Di sicuro, dal punto di vista drammaturgico, la più calata nella sensibilità del ‘900. La favola musicata da Puccini ci spinge verso una narrazione non letterale. La Cina è la favola, la favola del Teatro. La Cina è il Teatro, al di là del facile folklore.
In Turandot si alternano i momenti della favola, dell’incubo, della poesia.
C’è una costante ricerca della verità, una verità lontana e sfuggente.  Questo porta a continui ribaltamenti, contraddizioni, lapsus, decisioni irreversibili. L’iniziale clima di allucinazione collettiva può essere superato solamente con atti che ripristino la conoscenza.  Turandot è una strana tragicommedia della psiche, una serie di variazioni tragicomiche su Amore e Morte. Si parte da una situazione archetipica: il mondo che irrompe in scena è in preda a una paralisi, in una situazione di crisi diffusa. Non si conosce l’origine di questa crisi, probabilmente è stata dimenticata, o falsata. E, come nell’archetipo, restano da svelare tre enigmi.
Probabilmente Puccini non poté completare l’opera perché non si riconosceva più nella programmata conclusione trionfale. In questa edizione nata al Festival di Torre del Lago presentiamo il finale composto da Luciano Berio, in cui di trionfale c’è molto poco. La musica di Berio sposta decisamente il contenuto di Turandot all’interno dei territori musicali del ‘900 e opera una serie di trasformazioni cangianti in cui non c’è una evidente affermazione della “storia d’amore”. Nel finale, Turandot si sottrae alle proprie responsabilità, fugge dalla colpa. Il confronto-scontro che ne segue si svolge in un clima di minaccia psicologica totale.
Tornando al binomio iniziale, c’è più la morte che l’amore in questo confronto.
Siamo sollecitati da una serie di interrogativi. Calaf si offre in segno di sfida totale. Cosa riesce  a liberare nella psiche di Turandot? C’è erotismo in questa scena? A questo segue la confessione definitiva, il principe ha finalmente un nome.  Calaf ha un finale, come svelasse a sé stesso la propria identità.  Attraverso questa rivelazione arriviamo a un doppio riconoscimento?
In fondo, un’opera con un finale poco affermativo. Nella scrittura di Berio Turandot ha un finale critico, è quasi un’opera senza conclusione. Alla fine, tutto dissolve. C’è una lunghissima dissolvenza del suono. Tutto scompare. Ma il maleficio è stato rotto, forse siamo alla fine di una allucinazione collettiva.
Forse ci troviamo in una possibile uscita dalla finzione, dal vecchio Teatro di fine ottocento in cui Puccini ha a lungo vissuto.
Anche con l’importante apporto di Luciano Berio, questo racconto scenico sembra non chiudersi su una fine, quanto piuttosto donare a Turandot il senso di un tentativo, un esperimento. Turandot come Opera Aperta, consegnata al destino di generare e ospitare finali di significato diverso.

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